martedì 26 giugno 2012

domenica 24 giugno 2012

A season in Hell (that's what my life is)

NOTTE DELL’INFERNO
 
Ho trangugiato un’inaudita sorsata di veleno. – Sia tre volte benedetto il consiglio che mi è pervenuto! – Mi bruciano le viscere. La violenza del veleno mi contorce le membra, mi rende deforme, mi schianta. Muoio di sete, soffoco, non posso gridare. L’inferno, la pena eterna è questa! Guardate come si ravviva il fuoco! Brucio come si deve. Va’, demonio!
Avevo intravisto la conversione al bene e alla felicità, la salvezza. Come posso descriverne la visione, l’aria dell’inferno non sopporta gli inni! Erano milioni di creature incantevoli, un soave concerto spirituale, la forza e la pace, le nobili ambizioni, che ne so io?
Le nobili ambizioni!
E ancora è la vita! – Se la dannazione è eterna! Un uomo che si voglia mutilare è dannato per davvero, no? Io mi credo all’inferno, quindi ci sono. È il catechismo in atto. Sono schiavo del mio battesimo, io. Voi, genitori, avete originato la mia infelicità, e avete originato la vostra. Povero innocente! – L’inferno non può tormentare i pagani. – È la vita ancora! Più avanti, le delizie della dannazione saranno più profonde. Un delitto, presto, che io sia annientato in nome della legge umana.
Taci, su, taci!...Qui è la vergogna, il rimprovero: Satana che dice che il fuoco è ignobile, che  è spaventosamente sciocca la mia collera. – Basta!... Con gli errori che mi vengono suggeriti, magie, falsi profumi, musiche puerili. – E dire che possiedo la verità, che vedo la giustizia: il mio giudizio è sano e deciso, sono pronto per la perfezione… Orgoglio. – La pelle del cranio mi si rinsecchisce. Pietà! Signore, ho paura. Ho sete, tanta sete! Ah! l’infanzia, l’erba, la pioggia, il lago sulle pietre, il chiaro di luna quando dal campanile rintoccavano le dodici… c’è il diavolo, a quell’ora, sul campanile. Maria! Vergine Santa!... – Orrore della mia stupidità.
Non ci sono anime oneste, laggiù, che mi vogliono bene?... Venite… Ho un guanciale sulla bocca, non mi sentono, sono fantasmi. E poi, nessuno pensa mai agli altri. Che nessuno si avvicini. Io puzzo di bruciaticcio, di sicuro.
Innumerevoli sono le allucinazioni. E’ proprio quel che ho sempre avuto: niente più fede nella storia, l’oblio dei princìpi. Me ne starò zitto: poeti e visionari sarebbero gelosi. Sono mille volte il più ricco di tutti; voglio essere avaro come il mare.
Toh! Proprio adesso l’orologio della vita si è fermato. Non sono più al mondo. – La teologia è seria, l’inferno è certamente in basso – e il cielo in alto. – Estasi, incubo, sonno dentro un nido di fiamme.
Quante malizie nell’osservazione  della campagna… Satana, Ferdinand, corre con le sementi selvatiche… Gesù cammina sui rovi porporini, senza curvarli… Gesù camminava sulle acque irritate. La lanterna ce lo mostrò ritto in piedi, bianco e bruno di chiome, sul fianco di un’onda di smeraldo…
Sto per svelare tutti i misteri: misteri religiosi o naturali, morte, nascita, avvenire, passato, cosmogonia, nulla. Sono maestro in fantasmagorie, io.
Ascoltate!...
Io possiedo tutti i talenti! – Non c’è nessuno, qui, e c’è qualcuno: non vorrei sparpagliare il mio tesoro. – Volete canti negri, danze di urì? Volete che scompaia, che mi tuffi alla ricerca dell’anello? Lo volete? Fabbricherò dell’oro, dei farmaci.
Fidatevi di me, quindi, la fede conforta, guida, guarisce. Venite tutti, – anche i bambini, – che io vi consoli, che sia sparso per voi il suo cuore, – il cuore meraviglioso! – Poveri uomini, lavoratori! Io non chiedo preghiere; mi basterà la vostra fiducia per essere felice.
– E pensiamo a me. Ben poco questo mi fa rimpiangere il mondo. Ho la fortuna di non soffrire più. La mia vita non fu che dolci follie, e me ne dispiace.
Bah! Facciamo tutte le smorfie immaginabili.
Decisamente, siamo fuori dal mondo. Nessun suono più. Il mio tatto è scomparso. Ah! il mio castello, la mia Sassonia, il mio bosco di salici. Le sere, le mattine, le notti, i giorni… Sono stanco!
Dovrei avere il mio inferno per la collera, il mio inferno per l’orgoglio, – e l’inferno della carezza; un concerto di inferni.
Muoio di stanchezza. È la tomba, vado a sfamare i vermi, orrore dell’orrore! Tu mi vuoi dissolvere, Satana, buffone, con i tuoi incantesimi. Io reclamo! Reclamo un colpo di forcone, una goccia di fuoco.
Ah! Risalire alla vita! Posare gli occhi sulle nostre deformità. E questo veleno, questo bacio mille volte maledetto! La mia debolezza, la crudeltà del mondo! Pietà, mio Dio, nascondimi; mi comporto troppo male, io! – Sono nascosto e non lo sono.
È il fuoco che si ravviva con il suo dannato.


Una stagione all'inferno, Arthur Rimbaud 


Hell's Cafe" in Paris in the late 1800's